Qualche libro da regalare o regalarvi a Natale

Qualche libro da regalare o regalarvi a Natale. I classici della letteratura moderna e contemporanea

Thomas Mann La montagna incantata: dedicato a chi non si lascia prendere dalla fretta, questo è un colossale romanzo di formazione in cui si fondono l’attraversamento vertiginoso del tempo immobile e dilatato di un sanatorio e lo snodarsi della vicenda di un singolo come simbolo della storia del popolo tedesco alla vigilia della grande guerra. Hans Castorp, un giovane borghese giunto nel sanatorio svizzero di Davos per incontrare il cugino lì ricoverato, effettuerà il proprio percorso di maturazione attraverso i temi universali della malattia, dell’amore e della morte. L’incontro con alcuni personaggi carismatici gli farà conoscere il conflitto, che rimarrà irrisolto, tra l’irrazionalità e l’individualismo da una parte e la fiducia nel progresso materiale e nella scienza dall’altra. Il vasto e avvolgente tessuto narrativo di una prosa complessa e perfetta consente digressioni di impianto saggistico che sembrano sgorgare in modo spontaneo e naturale dai dialoghi dei personaggi.

“Ogni umanità è fondata sul rispetto del mistero umano” dice lo stesso Mann, parole su cui meditare.

Josè Saramago Caino: ”La storia degli uomini è la storia dei loro fraintendimenti con dio, né lui capisce noi, né noi capiamo lui”. Basterebbero queste poche folgoranti parole per comprendere la grandezza di un testo breve, scorrevole ed estremamente gradevole in cui l’autore portoghese immagina la storia di Caino all’indomani dell’odioso fratricidio. A cavallo di un mulo, in una landa desolata che funge da bizzarra macchina del tempo, Caino racconta le più note vicende bibliche – dalla costruzione della torre di Babele alla distruzione di Sodoma, dal sacrificio di Isacco alla consegna delle tavole della legge a Mosè, dall’accanirsi della sventura sul probo Giobbe alla costruzione dell’arca di Noè – attraverso il punto di vista straniante del protagonista, che coglie l’insensatezza e la crudeltà delle richieste di un Dio egocentrico che appare pertanto molto più discutibile delle antropomorfizzate divinità dell’Olimpo. Di Saramago – uno dei Nobel più meritati che sia mai stato attribuito – si consiglia comunque la lettura sistematica di tutta l’opera.

Giuseppe Berto Il male oscuro: a chi si lascia andare alla depressione da festività natalizie e a chi soffre di ipocondria molesta questo bellissimo romanzo psicanalitico offre una spalla sulla quale piangere e uno specchio nel quale riconoscersi. La narrazione fortemente biografica ed introspettiva sfrutta l’espediente che già fu di Svevo ne La coscienza di Zeno, cioè quello della scrittura come terapia suggerita dall’analista, e il protagonista si configura come uno dei fratelli più giovani dei tanti inetti primonovecenteschi. Partendo dal difficile rapporto con l’ingombrante figura paterna e con l’irrisolto nodo della sua morte, Berto sviscera la natura dei suoi mali – riassumibili in un unico male oscuro – e la natura delle relazioni con altre figure condizionanti della sua vita, tra cui la moglie, fino ad approdare al porto sicuro di un voluto e voluttuoso isolamento nel lembo estremo dell’Italia che guarda alla Sicilia come terra ancestrale dal prorompente richiamo. Dalla lotta con il padre all’identificazione con esso, dalla ricerca dell’autonomia al bisogno di ritrovare le proprie radici, in fondo si tratta del passaggio noto e comune a tante generazioni.

Gabriel Garcìa Màrquez L’amore ai tempi del colera: se siete ostinati e se avete una visione romantica della vita questo è il libro perfetto. Si può modulare la propria vita sociale e lavorativa per raggiungere l’obiettivo del coronamento di un sogno d’amore? Florentino Ariza lo fa con convinzione e caparbietà, con la fede incrollabile in un destino che prima o poi aprirà le porte ai suoi desideri. Passeranno “cinquantatré anni, sette mesi e undici giorni, notti comprese” prima che ciò avvenga, ma il tempo è relativo quando si parla di felicità, e anche un breve e fuggevole appagamento può valere il tempo lunghissimo dell’attesa. Per chi ci crede… Naturalmente il romanzo attraversa il Novecento latinoamericano fornendo anche uno spaccato sociale di indubbio interesse.

http://www.inscenaonlineteam.net/inscena/2019/02/19/qualche-libro-da-regalare-o-regalarvi-a-natale-i-classici-della-letteratura-moderna-e-contemporanea/

“Andrè e Dorine”del KulunKa Teatro

La perdita delle ‘piccole cose’. ‘André y Dorine’ al Teatro Libero di Palermo

 

Un interno discreto e raccolto con scrittoio, poltroncina, qualche mensola e tante foto appese al muro che racchiudono il percorso comune di una coppia giunta alla vecchiaia. Lui è uno scrittore prolifico ma non particolarmente affermato che continua a produrre, lei una violoncellista che strimpella qualche nota per farsi compagnia e attirare l’attenzione del compagno. Sono le solite dinamiche note delle coppie antiche quelle che si aspettano dall’altro solo la presenza che basta e avanza per condire quel poco di vita che rimane.

Ogni tanto la visita frettolosa del figlio ormai adulto che porta un piccolo dono ai genitori già pronti e predisposti all’ennesimo abbandono. Ma sarebbe troppo semplice e persino bello questo ménage paziente di reciproca tolleranza, questa condivisione di giorni uguali senza alcuno spiraglio di novità diverso da un mesto sorriso o da un affettuoso rimbrotto, è ovvio che non può durare…

Dopo più di cinquecento repliche in giro per il mondo, giunge al Teatro Libero di Palermo – con il supporto di PICE/Acción Culturale Española – la compagnia basca Kulunka Teatro con il pluripremiato André y Dorine di José Dault, Garbiñe Insausti, Iñaki Rikarte, Edu Cárcamo e Rolando San Martín. Successo meritato, perché lo spettacolo, nell’affrontare le tematiche universali di amore, malattia e morte, gode di una grazia particolare costituita dall’equilibrio perfetto tra malinconia e leggerezza. L’uso del physical theatre ha inoltre consentito il superamento di qualsiasi barriera linguistica (anche il cinema muto delle origini era fruibile alla stessa maniera), mentre l’uso delle maschere conferisce paradossalmente un tocco di maggiore umanità ai personaggi, come se i sentimenti venissero amplificati dai volti enormi ed inespressivi, per cui lo spettatore stenta a comprendere come sia possibile trasmettere persino impercettibili variazioni emotive nonostante l’imperturbabilità esibita dalla maschera. Così nello spettacolo, diretto da Iñaki Rikarte, e interpretato dagli stessi autori – José Dault, Garbiñe Insausti ed Edu Cárcamo – non sono le parole ad accompagnare la narrazione, ma le musiche di Yayo Cáceres, contrappunto gioioso o malinconico dello snocciolarsi del presente e dei ricordi.

Il giorno in cui arriva l’infausta sentenza sulle compromesse facoltà mentali di Dorine, André sembra non interessarsene, ma è soltanto il disperato tentativo di rifiutare ciò che sarebbe troppo difficile da accettare. La storia di questa coppia comincia a materializzarsi in ampi flashback scenici di ariosa freschezza e di sottile ironia avviati da un gesto o da una fotografia che traghettano nel presente amaro, perché le vittime della demenza non sono semplicemente quelle colpite direttamente dal male ma anche quelle che intorno a quel male sono costrette ad orbitare. I familiari, inizialmente spiazzati e determinati a resistere, pian piano si adeguano all’unica via percorribile, quella dell’accettazione che può esistere soltanto se le radici dell’amore sono davvero profonde, tanto profonde da trasformare un timido abbraccio in un ballo romantico e dolcissimo, finché gli allegri coriandoli nuziali trattenuti dal ricordo si trasformano in petali funebri e la custodia dell’amato violoncello diventa simbolica bara nella quale seppellire la donna e il suo universo.

Se è vero che l’arte attinge alla vita per indagarne i meccanismi e le verità, è interessante notare come la tematica della malattia – nell’inquietante e desolante versione della demenza senile – sia presente in maniera ossessiva e continua al cinema, nella letteratura e nel teatro. Forse l’attuale trionfalismo scientifico dell’allungamento della vita si scontra inevitabilmente con i guasti della dilatazione temporale di una vecchiaia in certi casi indignitosa e l’arte sa smascherare le statistiche, sa leggere oltre i numeri e le percentuali. Da Le pagine della nostra vita di Nick Cassavetes ad Iris – Un amore vero di Richard Eyre, da La versione di Barney di Mordecai Richler a Io non ricordo di Stefan Merrill Block, da I nostri passi di Chiara Bazzoli a Il Vangelo secondo Antonio di Dario De Luca le opere sull’argomento sono tantissime e l’elenco si potrebbe allungare a dismisura. Si tratta della conferma di un’emergenza narrativa che attraversa le ultime generazioni e si pone come tema etico dominante sul quale è necessario fermarsi a riflettere.

La regia pulita e sensibile e le capacità di espressione corporea degli interpreti consentono allo spettacolo di trasformarsi in una storia perfettamente leggibile che sa far sorridere senza allentare mai la morsa che stringe il cuore e che in qualcuno fa sgorgare una lacrima.

Il vecchio André affida la sua storia più intima e vera alla carta, la narrazione diviene dunque memoria e trasmissione di sentimenti e dolori per quelli che saranno in grado di raccoglierli, di porgere orecchio e di restare in ascolto.

http://www.inscenaonlineteam.net/inscena/2018/12/01/la-perdita-delle-piccole-cose-andre-y-dorine-al-teatro-libero-di-palermo/

https://www.articolo21.org/2018/12/la-perdita-delle-piccole-cose-andre-y-dorine-al-teatro-libero-di-palermo/

ANDRÉ Y DORINE

drammaturgia José Dault, Garbiñe Insausti, Iñaki Rikarte, Edu Cárcamo, Rolando San Martín

regia Iñaki Rikarte

con José Dault, Garbiñe Insausti, Edu Cárcamo

scene Laura Gómez

musica Yayo Cáceres

costumi Ikerne Giménez

luci Carlos Samaniego “Sama”

maschere Garbiñe Insausti

fotografia Gonzalo Jerez “El Selenita”

aiuto regia Rolando San Martín

Kulunka Teatro / Bilbao – Spagna