“Scordato” di Rocco Papaleo

, , , , ,   

Vivere in sordina. “Scordato” di Rocco Papaleo

@ Agata Motta, 14 maggio 2023

Un film delizioso Scordato, l’ultimo lavoro di un Rocco Papaleo, disposto a svelarsi in modo più diretto senza rinunciare al proprio stile, anzi prendendone pieno possesso, camminando in bilico tra temi e luoghi frequentati e nuove istanze senza mai ripetersi, disorientare o peggio scivolare.

Giunto all’ingrato approdo dei sessant’anni con la consapevolezza della propria rassegnazione ad un opaco presente di depressione e di contratture fisiche ed emotive, l’accordatore di pianoforte Orlando – lo stesso Papaleo che firma anche sceneggiatura (con Valter Lupo) e regia – avverte con sempre maggiore insistenza la voce critica (e la presenza fisica) del se stesso giovane (il solare Simone Corbisiero), allegro e pieno di speranze, e di un passato, chiuso ormai fuori a doppia mandata, che vorrebbe confusamente risucchiarlo. Il motivo si scoprirà poco alla volta, perché in quel passato è da collocare il trauma che ha portato il giovane Orlando alla fuga da Lauria, il paese lucano di origine, nonostante il forte legame che lo univa alla bellissima madre (Manola Rotunno), della quale malvolentieri aveva accettato le seconde nozze con l’albergatore Rocchino (Jerry Potenza) e all’esuberante sorella Rosanna (valida e calzante Angela Curri). La possibilità di riavvolgere il nastro e di sciogliere l’amaro garbuglio che ne ha fatto un eterno irrisolto, gli viene offerta da una giovane fisioterapista – Giorgia in un dignitoso debutto come attrice che non nega comunque la sua straordinaria voce – che, avvertitane la desolata fragilità, lo esorta a tornare in Basilicata per recuperare una foto di gioventù attraverso cui operare un confronto con la contratta postura attuale. La sua bella terra, mostrata in inquadrature di struggente bellezza e ammantata di nostalgia, è amata di incondizionato amore anche quando si rivela impermeabile tanto al male quanto al bene e risultano pertanto corrosive, polemiche ed esilaranti alcune scene, come quella in cui nessuno mostra entusiasmo per la nomina di Matera a Capitale europea della cultura 2019 e quella in cui il becero automobilista che gli offre un passaggio prospetta per Potenza uno sviluppo futuristico in stile Dubai. Lì, a Lauria, si trova il bandolo della matassa e della semplice storia del mite Orlando, avvezzo ad un consumo ormai anestetico di spinelli e disposto ad arrabbiarsi solo su discutibili e anacronistiche questioni di principio, si recupera il passato in ampi flashback. La politica, gli intrallazzi e il terrorismo hanno teso una corda sul suo cammino. Lui non è inciampato, ma lo hanno fatto le persone più care, soprattutto la sorella che non si innamora di un’ideologia, quanto della sua distorsione e del suo malinteso senso di giustizia radicale. E allora la fuga si prospetta come il male minore, la soluzione più comoda, la pietra tombale sulla gioia e sulla poesia che aveva coltivato sin da bambino, persino sul dialetto cui lo sprona invece il giovane se stesso suggerendo così che senza le radici si appassisce soltanto.

Si può fare pace con il passato e andare avanti anche a sessant’anni, ma prima bisogna guardare in faccia i fantasmi del passato, restituire loro la voce, sfiorarne la pelle invecchiata, accettare l’assenza del pentimento che non comporta lo spegnersi degli affetti, perdonare. E dietro quei fantasmi o nelle stanze impolverate della vecchia casa si possono trovare altre verità che sgretolano certezze per costruirne di nuove.

Se la prima scena, in cui Orlando quasi si immola ad un incontro sessuale che non giungerà a compimento per una contrattura alla schiena – l’occasione narrativa che darà seguito al resto della storia – sembra condurre ai noti sentieri umoristici dell’autore, bastano poco per realizzare che questo è un film in parte diverso, intriso di malinconia e tenerezza, e tutto ciò che di noto torna del Papaleo precedente viene restituito filtrato da una nuova coscienza di sé, da un’indagine interiore di nuovo e più robusto spessore che travolge e a tratti persino commuove. Lo sguardo di Papaleo, anche attraverso il confronto con quello scanzonato e provocatorio di Corbisiero, assume una drammatica intensità e se le labbra pronunciano parole che strappano il sorriso, gli occhi raccontano un dolore reale, quello di esseri umani che vivono in sordina, che accordano strumenti altrui glissando sulle proprie dissonanze, sui sogni calpestati da una vita che ha imboccato direzioni impreviste e non scelte.

Verrebbe quasi voglia di abbracciarlo stretto stretto quando, incoraggiato e illuso dagli amichevoli atteggiamenti della fisioterapista, si ritrova respinto e solo a realizzare la propria inesorabile vecchiaia e ancora abbracci a profusione quando, riappropriatosi della vena poetica giovanile per puro uso personale (meglio scrivere che strafarsi di spinelli) avanza sul pontile scandendo bellissimi versi (parte del testo di Tu sei una parte di me, la canzone che accompagna i titoli di coda cantata da Giorgia e Papaleo) e lasciandosi alle spalle le persone del passato e del presente senza rinnegarle, semplicemente oltrepassandole per godere di un attimo di compiutezza.

Ci vorrebbe un ago e non un’agonia per imparare la pazienza del sarto che cuce vestiti e feriti
Spero ci venga in mente un pensiero esilarante, quelli che fanno ridere di questa inconsistenza
E per un attimo, ingannevolmente, ci rendono compiuti (Tu sei una parte di me).

https://www.scriptandbooks.it/2023/05/14/vivere-in-sordina-scordato-di-rocco-papaleo/

anche su Articolo21

https://www.articolo21.org/2023/05/vivere-in-sordina-scordato-di-rocco-papaleo/

“La casa degli sguardi” di Daniele Mencarelli

, , , ,   

Viaggio di sola andata. “La casa degli sguardi” di Daniele Mencarelli

@ Agata Motta, 8 maggio 2023

La morte di un bambino è una bestemmia che non ha giustificazione alcuna, è una violenza inaudita alla quale Dio non si oppone, quel Dio che dovrebbe chiedere perdono per il dolore che consente sulla Terra. Il tema del male inflitto agli innocenti, vissuto come scandalo insostenibile, emerge prepotente dalle pagine di autori che non smettono di interrogarsi su laceranti questioni morali ed è presente nel romanzo d’esordio La casa degli sguardi (Premio Severino Cesari Opera Prima, Premio Volponi e Premio John Fante Opera Prima), edito da Mondadori, del poeta romano Daniele Mencarelli che consegna alla scrittura la propria dura esperienza di vita, un candido fiore del male che profuma di verità e sofferenza.
Come il Cristo in croce che implora gli uomini di perdonare il Padre “perché non sa quello che fa”, come Caino consapevole di essere soltanto uno strumento per la realizzazione del progetto divino – entrambi superbamente rappresentati dalla potenza visionaria di Josè Saramago – anche il giovane Daniele, stritolato dall’angoscia, inizialmente si ribella all’idea di un Dio sordo o addirittura compiacente, ma nell’eterno conflitto tra il bene e il male lascia aperto un varco salvifico. Da quelle morti di cui è tormentato spettatore nell’ospedale pediatrico del Bambino Gesù, da quei piccoli martiri incolpevoli, da quegli sguardi muti carichi di vita negata Daniele Mencarelli ha ricevuto il dono della redenzione dopo una giovinezza di eccessi autodistruttivi causati da una carica empatica devastante, dallo spontaneo istinto di reggere sulle proprie spalle tutte le croci del mondo.
Nel romanzo Daniele ha venticinque anni (tolto il velo della finzione letteraria, di se stesso in sostanza parla l’autore), ha spazzato via gli ultimi quattro con determinazione e con l’unico obiettivo di spazzare via tutti gli altri ancora da soffrire. Perché per Daniele vivere equivale a questo, soffrire passo dopo passo nella certezza di non essere malato ma semplicemente “vivo oltremisura”. Capita dunque di incespicare nelle droghe e infine nell’alcol alla ricerca permanente di uno stato di dimenticanza che appanni la percezione della propria miseria e della devastazione prodotta nella famiglia che tenta di accudirlo. I sensi di colpa nei confronti dei genitori, in particolare della madre che dorme sui gradini davanti la stanza in attesa del suo risveglio, mordono la carne ma non bastano a farlo smettere di bere, è più semplice continuare a farlo e sprofondare nuovamente nella dimenticanza. Poi un amico poeta gli procurerà un contratto di lavoro con una cooperativa che agisce nell’ospedale pediatrico del Bambino Gesù di Roma. Sarà lo snodo, il punto di svolta in un crescendo di cadute e risalite.
La consapevolezza del peso abnorme di una sensibilità acutissima vissuta come una dannazione porta l’autore alla ricerca di risposte perentorie sul destino dell’uomo e sul suo viaggio in una terra che porge le lusinghe della natura da una parte e la disperazione della solitudine dall’altra. Le risposte arriveranno proprio attraverso la capacità di sporcarsi per comprendere l’ipotesi del bene e attraverso il furto improvviso di brandelli di bellezza nel mite capolavoro del creato. E saranno risposte pregne di speranza, perché si può ricominciare a vivere dopo aver attraversato l’inferno, portando sulla pelle cicatrici e ustioni che non potranno rimarginarsi e guarire perché saranno necessarie per continuare a ricordare ciò che si è visto, ciò che si è patito. Immergersi nel dolore, percorrerlo in apnea, testimoniarlo e poi restituirlo sotto forma di poesia darà al giovane Mencarelli la seconda possibilità, quella di ripartire senza lasciarsi alle spalle gli anni tossici delle dipendenze ma facendone materia incandescente e oggetto di riflessione. E alle esperienze vissute in momenti diversi del proprio calvario Mencarelli è tornato con Tutto chiede salvezza e Sempre tornare. La salvezza agganciata alle parole come sempre avviene in chi vive e si nutre di scrittura.

Daniele Mencarelli

La prosa di Mencarelli scandaglia il proprio malessere esistenziale e la sofferenza gratuita e incomprensibile dei bambini e li osserva da vicino con immagini vivissime e laceranti, eppure ne emerge nitida e pulita e, in ogni pagina, si avvertono il cesello lessicale del poeta e il riverbero sonoro delle parole. La consuetudine con le sceneggiature traspare invece nei dialoghi con i colleghi e con i familiari nei quali subentra il dialetto per restituire atmosfere genuine e reali, battute che sembrano quasi registrare il parlato nel suo apparire sulle labbra dei personaggi.
Se la dimenticanza alcolica avrebbe dovuto condurre alla divina indifferenza, è nella lucidità riconquistata che l’autore incontra la gialla ginestra leopardiana e la oltrepassa. Nei compagni di lavoro ha scoperto l’appartenenza, il riconoscimento e la fratellanza, nelle parole di una suora una visione dell’esistere che oltrepassa il contingente, negli occhi curiosi dei bambini malati e in quelli spenti dei loro genitori la compassione. La comunione con gli altri uomini scaturisce dall’essere compagni di un viaggio di sola andata, di cui non è possibile conoscere la destinazione e la durata, sotto un cielo magnificamente azzurro per chi lo sa guardare.
Sembra la prima alba del mondo […] Appoggiato alla balaustra del belvedere, mi fermo a guardare. Ogni singola particella del cosmo sembra in armonia con quello che ha intorno, nulla stride, non c’è infelicità a perdita d’occhio: Dio si palesa così, parla dentro questi momenti, l’attimo in cui il respiro si ferma.
A chiusura una poesia inedita del 2018 dedicata a Toctoc, Alfredo, uno dei bambini dell’ospedale, morto dopo un anno di degenza, con il quale il giovane Daniele aveva intrecciato un muto dialogo fatto di gesti attraverso il vetro di demarcazione tra il mondo dei sani e quello dei malati. È uno di quegli sguardi che ha continuato a trafiggere il ricordo del poeta che infine usa le proprie parole per regalargli una pagina d’immortalità.

La casa degli sguardi
Daniele Mencarelli
Mondadori 224 pagine € 12,50

https://www.scriptandbooks.it/2023/05/11/viaggio-di-sola-andata-la-casa-degli-sguardi-di-daniele-mencarelli/