“C’è ancora domani” di Paola Cortellesi

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“C’è ancora domani”, tutta la gamma di grigi di Paola Cortellesi

@ Agata Motta, 18 dicembre 2023

Si esce dalla sala con un amaro sorriso sulle labbra o scuotendo la testa. C’è ancora domani, esordio in regia di Paola Cortellesi, ha riscosso un enorme successo di critica e di pubblico ma non ha convinto tutti, come spesso avviene per i film che puntano su tematiche forti e che utilizzano linguaggi meno convenzionali. Forse bisognerebbe far passare qualche giorno prima di scriverne, giusto per capire se l’impatto iniziale dura nel tempo e per valutare a freddo le scelte che la regista ha effettuato per raccontare una storia complessa che, pur ambientata nel primo dopoguerra, ha risvolti di sconvolgente attualità. E allora sì, si può azzardare che il film è perfettamente riuscito, perché entra sottopelle, sedimenta e poi riaffiora, stimola discussioni, crea divisioni, suscita emozioni, scatena risentimenti, alimenta speranze, genera empatia per le tantissime donne che hanno subìto e che subiscono ancora violenze e discriminazioni ma che dal silenzio hanno fatto germogliare piccoli atti di ribellione e resistenza di enorme risonanza privata e sociale. E allora sì, si può affermare che un film con queste caratteristiche è un gran bel film che merita di essere visto – e, se proprio necessario, criticato – e che la Cortellesi si conferma non solo attrice poliedrica di indiscusso spessore ma anche accorta e audace regista per il modo in cui manovra la spinosa materia narrativa proponendola con una grazia che accende passioni senza ustionare, perché la violenza mostrata ha un qualcosa di grottesco che la filtra e la allontana mentre il resto è allusione priva di gratuita esibizione.

L’utilizzo del bianco e nero sottolinea proprio questa ossimorica volontà di messa a fuoco a distanza, è uno sguardo posato su un momento storico e sulle sue ripercussioni sul presente, è un fondale neutro in cui far convivere con effetti sorprendenti canzoni d’epoca (Fiorella Bini, Achille Togliani) e cantautori contemporanei (emozionanti e calibratissimi i brani di Lucio Dalla, Fabio Concato e Daniele Silvestri) in una fusione atemporale di sentimenti universali, è un gioco sapiente che si satura di rimandi simbolici attraverso gesti che portano da una parte all’altra della storia con precise corrispondenze e contrapposizioni, è un velo di ironia che serpeggia attutito dalla gamma dei grigi e amplificato dalle parole, è un’ombra di malinconia che emana dagli intensi primi piani.

Il Neorealismo, cui si è tanto fatto riferimento per questo esordio, risulta di certo assorbito e introiettato, ma crediamo che la Cortellesi non abbia avuto né l’intenzione né la tentazione di confrontarsi con mostri sacri come la Magnani o De Sica. La recitazione non è sanguigna e viscerale, le inquadrature e gli effetti creati non trasudano realtà, i bambini sono chiassosi rompiscatole perfettamente inseriti nelle malate dinamiche familiari, il dialetto raccoglie l’efficacia espressiva del popolo ma assume una funzione spesso dissacrante, specie nelle lapidarie frasi in cui fa capolino la vis comica propria dell’attrice o in alcune battute che rivolge a se stessa (come gli “a parte” teatrali) soffiandole confidenzialmente allo spettatore. Il suo personaggio si distacca profondamente dai modelli e attinge invece a se stessa, alle proprie profonde corde emotive e alla propria originale impronta attoriale, nello spaccato mostrato e nel modo in cui esso è presentato troviamo la sua personale e riconoscibile prospettiva di donna impegnata nel senso più autentico del termine.

Intorno a lei, per nulla offuscati o sacrificati, si muovono gli altri impeccabili interpreti, da Valerio Mastrandrea, il marito violento che a suo modo esercita un’autorità correttiva sulla moglie, a Giorgio Colangeli, suocero dispotico e padre prodigo di consigli, da Emanuela Fanelli, amica e moglie più fortunata che diviene sostegno e punto di rifermento essenziale, a Vinicio Marchioni, che è Nino, amore giovanile e uomo di grande sensibilità, da Romana Maggiora Vergano, la figlia Marcella che, pur detestando l’asservimento materno, finisce per cedere al ricatto amoroso del “sola mia per sempre”, a Francesco Centorame, il giovane e invidiato spasimante di Marcella tutto zucchero e miele che, una volta raggiunto lo status di fidanzato ufficiale, scopre le carte del possesso e del dominio fisico e psicologico, fino al bellissimo abbozzo di donna sola e indipendente offerto dalla sora Franca di Paola Tiziana Cruciani.

L’anno è il 1946, e non potrebbe essere un altro qualsiasi anno del dopoguerra come sarà evidente alla fine, la protagonista è Delia, una delle tante mogli, madri, serve di case come epoca richiede, la città è Roma, mostrata in scorci di grande efficacia sia nei vicoli e nei cortili popolari sia nei vialoni alberati che portano alle abitazioni borghesi nelle quali la donna si reca per aggiungere piccoli introiti alla magra economia familiare. E già intuiamo un’altra Delia, che subisce e soffre senza essere stata del tutto spezzata, in quell’incedere sicuro a sguardo alto, in quei passi fermi posati con le scarpe sformate sui marciapiedi della città “altra”, quella inarrivabile dei signori in cui le mogli sono curate nell’aspetto e supportate da stuoli di domestiche ma comunque redarguite con garbo e paternalismo quando provano ad esprimere opinioni. Sono proprio quelle brevi scorribande fuori dalle claustrofobiche pareti domestiche (la famiglia vive in un seminterrato e la prospettiva “dal basso” delle finestre racconta anche una condizione esistenziale) che regalano alla donna brevi momenti di frescura e di benessere fatti di piccoli quotidiani incontri, di sinceri gesti di amicizia, di furtivi sguardi amorosi destinati a spegnersi nella nostalgia di un passato non più proponibile. Ecco che Delia appare ancora capace di godere e di progettare, anche attraverso una sigaretta (tipico oggetto di emancipazione femminile) fumata sul terrazzo tra i panni stesi o attraverso l’acquisto di uno scampolo con cui confezionare una camicetta nuova da indossare il giorno in cui andrà incontro alla conquista di una inaspettata forma di dignità.

“Il matrimonio è per sempre” dirà Delia alla figlia smaniosa di concludere il fidanzamento con il bravo ragazzo che la fortuna ha posto sulla sua strada, e in quelle parole si avverte un’incrinatura, un senso di ineluttabilità che fa tremare i polsi. I soldi, da lei sottratti ai magri guadagni, che dovrebbero servire per regalare alla figlia un sontuoso abito da sposa sono un segno inequivocabile di accettazione di un destino che non sembra mostrare spiragli o offrire alternative, finché qualcosa giunge a smuovere le acque stagnanti della rassegnazione. La rivalsa giunge anzitutto attraverso la salvezza della figlia, l’atto più pienamente risarcitorio per una madre che ama di viscere e di cuore, impedendo cioè che il futuro si srotoli per lei con le stesse modalità materne, poi giungerà anche quella personale, la conquista della voce a bocca chiusa, nella bellissima sequenza collettiva che conclude il film ma non il dibattito storico e sociale.

Difficile mantenere equilibrio e sobrietà quando si parla di violenza alle donne, specie quando essa matura all’interno del nucleo familiare, in quel nido prezioso che dovrebbe proteggere e che invece si trasforma in carcere e sopraffazione. Naturalmente la Cortellesi non tenta nemmeno di camuffare la posizione critica di cui è sempre stata portatrice e quando porge una possibile giustificazione ai comportamenti di Ivano lo fa con un sarcasmo affilato e anaforico “è nervoso perché ha fatto le guerre” e pertanto demistificatore, eppure riesce a smussare gli angoli e ad addolcire asperità, a creare atmosfere potenti e sequenze antologiche, come quella in cui la condivisione di una barretta di cioccolato tra Delia e Nino dà vita ad una delle scene d’amore più sensuali e belle della storia del cinema: estraniati totalmente dallo squallore dell’officina meccanica e ingoiati da una vertigine musicale, i due si sorridono con i denti sporchi di cioccolato, fanno l’amore con lo sguardo senza nemmeno sfiorarsi e il pubblico in sala li guarda con gli occhi lucidi per pochi secondi di magnetica e struggente bellezza. E non può sfuggire la contrapposizione dell’unica scena di sesso coniugale in cui lei, di spalle, raccatta con il dito residui di sporco sul comodino mentre lui le dichiara il perdurare del proprio affetto appena dimostrato con l’insipido amplesso.

Certo se il meccanismo funziona alla perfezione è anche merito della pregevole sceneggiatura – scritta dalla Cortellesi con Furio Andreotti e Giulia Calenda – alla quasi si può perdonare di aver forzato un po’ la mano in colpi di scena poco credibili e in artefatte manovre finalizzate al mantenimento della sorpresa finale.

C’è ancora domani è un film coraggioso e bello, semplicemente questo.

https://www.scriptandbooks.it/2023/12/17/ce-ancora-domani-tutta-la-gamma-di-grigi-di-paola-cortellesi/

https://www.articolo21.org/2023/12/ce-ancora-domani-tutta-la-gamma-di-grigi-di-paola-cortellesi/

L’ottava vita di Nino Haratischwili

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Bianco Natale 2023/Nino Haratischwili, L’ottava vita (per Brilka), Marsilio, Venezia, 2020

@ Agata Motta, 4 dicembre 2023

“Si dice che il numero otto equivalga all’eternità, al fiume che ritorna. Ti dono il mio otto.” Con queste parole Niza consegna alla nipote Brilka un secolo di narrazione, un legame tra generazioni, un filo cui stare avvinghiati per non smarrire le radici e il senso di percorsi tortuosi e imperscrutabili, la possibilità di restare in ascolto del passato, di assorbire antiche energie che andranno a confluire nel ciclo inarrestabile della vita e della grande storia.
Con “L’Ottava vita (per Brilka)”, edito da Marsilio e tradotto dal tedesco da Giovanna Agabio, la georgiana Nino Haratischwili, nata a Tbilisi ma residente a Berlino, consegna un romanzo fiume che in più di mille scorrevolissime pagine traccia la storia di una nazione ‒ la sua Georgia per l’appunto ‒ stritolata tra la rivoluzione bolscevica, le guerre mondiali e il crollo dell’Unione Sovietica e vi innesta le singolari vicende della famiglia Jashi e dei tantissimi personaggi che le ruotano intorno senza mai perdere il bandolo dell’intricata matassa che dipana con amorevole cura.
L’andamento della narrazione, in prima o in terza persona a seconda delle esigenze, segue un ordine cronologico manipolato da continui slittamenti nel passato e rapidissime anticipazioni del futuro senza mai confondere il lettore. L’inizio e la fine, che torna alle prime pagine con perfetta simmetria, sono il cerchio dentro il quale inscrivere un passato che profuma di cioccolata e sogni spezzati e che assorda con gli echi di guerre onnipresenti.
L’autrice si concentra sugli snodi fondamentali della Storia e passa in rassegna i dittatori e gli uomini politici che si sono succeduti al comando della grande Russia e poi dell’Unione Sovietica e non salva nessuno. Parole dure anche per il padre della perestrojka, nella consapevolezza di porgere una visione inedita al mondo occidentale, che non appare tanto migliore dei predecessori. Centrali le figure di Stalin (il Generalissimo) e del capo dei servizi segreti Beria (il Piccolo Grande Uomo che, capace di spropositate passioni e di incredibili efferatezze, possiede un’ambigua attrattiva), mai menzionati per nome ma incombenti come tragici spettri capaci di avvolgere nel manto nero della violenza il popolo e di condizionare il destino di migliaia di vite.
Le nozioni storiche non sempre sono integrate al racconto, talvolta appaiono volutamente isolate, come se fossero rapide pagine di un manuale atte ad orientare il lettore che non ricorda o non conosce con esattezza ciò che è accaduto in spazi lontani non solo geograficamente ma anche sotto il profilo ideologico e socioeconomico. Sono quindi pagine che possono alterare la compattezza della struttura narrativa, ma che si rivelano necessarie ad una comprensione non superficiale del testo.
La lettura politica dell’autrice relativa alla realtà narrata emerge con chiarezza, Nino Haratischwili vuol farsi testimone del suo tempo e di un passato in fondo recente che ha studiato e approfondito con occhio critico. Non le importa motivare ma mostrare, non indugia sulle cause ma si concentra sugli effetti. Chi detiene il potere e affligge il popolo non può essere giustificato o compreso. Chi travolge un territorio lasciando polvere e macerie non ha possibilità di replica. Chi ha vissuto sulla propria pelle o su quella dei propri antenati l’insulto della sopraffazione non ha chiavi adatte ad aprire la via del perdono o del dialogo. La condanna scaturita è dura e senza appello.
Gli elementi di maggiore fascinazione del romanzo sono la capacità affabulatoria dell’autrice e la cura dedicata ad ogni personaggio, specie a quelli femminili, che sono tantissimi e assai diversi tra loro. Nino Haratischwili li dirozza con amore come farebbe un artigiano con il legno inerte, gradualmente li scolpisce nel corpo e nella mente, poi passa il testimone ad altri personaggi spostando altrove il fulcro del racconto per poi invertire nuovamente la marcia e far progredire ciò che sembrava aver lasciato in ombra. Scava, arricchisce, conclude.
Le storie diventano dunque parole sempre nuove che giungeranno prima o poi a destinazione, dove sarà possibile raccoglierle e ascoltarle, talvolta dolci e pregne di amore, speranze e illusioni, altre dure, spietate, desolanti, impotenti di fronte ai destini tracciati dalle vicende politiche e dalle oscure e ciniche manovre dei potenti della terra. Stasia lotta, si oppone e purtroppo non vince, ma di quella lotta impari, di quella determinazione e di quel coraggio resta il segno indelebile. La bellissima Christine comprende il terribile meccanismo della sopravvivenza e ne verrà schiacciata senza per questo uscirne sconfitta. La dolce Kitty oltrepasserà l’orrore della tortura per trovare nel canto dell’esule la propria dimensione, ma il ricordo del doloroso passato ha già scavato vertiginosi abissi. E poi ancora Ida, Sopio, Mariam, Nana, Fred, Elene, Daria, Lana e un’infinità di altre donne attraversano le pagine e si imprimono nel cuore.

Nino Haratischwili

Gli uomini spesso appaiono freddi, duri e inflessibili, cinici e calcolatori, primo fra tutti Kostja che dopo un appassionato e infelice amore giovanile pretenderà di plasmare la figlia e la nipote a propria immagine e somiglianza, o deboli e sbandati, distratti e indolenti, ma ad alcuni di loro l’autrice riesce a donare vibrazioni emotive indimenticabili. Ѐ il caso di Ramas, che sacrifica la bellezza dell’adorata moglie per sottrarla alla rapace e ricattatoria attenzione del Piccolo Grande Uomo e poi si toglie la vita, o dell’incolore e potentissimo Giorgi, impantanato in un amore proibito e inesprimibile, che scopre con angoscia la sconvolgente identità del padre.
La ricetta di una cioccolata dal gusto divino, tramandata da una generazione all’altra, capace di donare momenti di estasi ma latrice di sventure per chi vi si accosta, costituisce l’elemento fiabesco in grado di condizionare le sorti di alcuni personaggi. Sembra un gioco, una magia poco aderente alla realtà descritta ma non dispiace abbandonarsi ad essa, perché di quella magnifica bevanda sembra quasi di percepire l’odore e il sapore.
Il temporaneo avvicinamento tra la sfuggente e irrisolta Niza, giovane donna dal presente confuso, e Brilka, ragazzina complicata e nevrotica che subisce il fascino dell’avventura umana e musicale della prozia Kitty, non è stato spontaneo né semplice, anzi, ha prodotto in entrambe frane e smottamenti dentro cui far scivolare rabbia, aspettative deluse, impotenza, dubbi. Da da quello scombinato cumulo di macerie scaturisce però prepotente la necessità di mettere assieme le scombinate trame del passato per farne un grandioso arazzo da guardare nei momenti di smarrimento, perché da chi ci ha preceduto può giungere talvolta una luce che come una piccola lanterna illumini la notte.
Bellissimo espediente quello di inserire, a conclusione del romanzo, l’ottavo libro intitolato Brilka (anche le sette parti precedenti, chiamate libri, portavano il nome di una delle donne protagoniste) e tante pagine bianche che toccherà un giorno proprio a Brilka riempire.

Nino Haratischwili
L’ottava vita (per Brilka)
Marsilio editore
pp.1129
€ 24,00

https://www.scriptandbooks.it/2023/12/04/bianco-natale-2023-nino-haratischwili-lottava-vita-per-brilka/

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