Recensione “Raccoglievamo le more”

Raccoglievamo le more di Agata Motta – Edizioni Kalòs

@Anna Di Mauro, 11 aprile 2025

Raccoglievamo le more opera prima della giornalista e scrittrice siciliana Agata Motta, è un romanzo della memoria e dell’appartenenza, ispirato a una storia vera, strutturato in un puzzle di quadri in successione, di cui solo il prologo e l’epilogo appartengono al presente. Aurelio Vitale, attore girovago e ribelle, nel 2002 ritorna alla terra natia e alla sua casa natale che con dolore vede svuotare dei suoi arredi carichi di memorie prima di passare in mani estranee. Mentre in cerca di antichi sapori siede al bar della piazza si sente chiedere dal cameriere “A cu’ appatteni?”. “No sacciu” risponde, ma la domanda sulla sua appartenenza scatena un’orda incessante di ricordi nello “straniero” che si fermerà solo nell’ultimo quadro del romanzo, emozionante epilogo che chiude il cerchio di una storia ambientata in Sicilia negli anni ’40, anni cruciali per la famiglia Vitale protagonista della vicenda e per il paese dove essi vivono.

Presentazione del libro con l’autrice e Costanza DiQuattro

L’Italia fascista e poi belligerante sono lo sfondo drammatico su cui si innestano le vite degli abitanti di quel piccolo mondo, microcosmo nel macrocosmo, disegnato con passione dall’autrice, in una raffinata prosa a tratti poetica, a tratti asciutta e cruda, nitida fino ad essere spietata nei ritratti dei personaggi e nelle ambientazioni, ricca di suggestioni metaforiche e stilemi, succulente sollecitazioni per il palato del lettore, invitato a gustare ciò che solo la penna può creare. La storia della famiglia Vitale scorre come un fiume in piena attraverso il racconto diretto o indiretto dei suoi protagonisti, in un vivace alternarsi della voce narrante, alzando il velo sull’intimità di una casa dove regna l’amore tra i coniugi Giovanni, impiegato alle Poste, e Maria con i loro cinque figli Rodolfo, Annamaria, Antonio, Emma, Palmina, attorniati dall’autorevole zio arciprete, l’affezionata domestica Lucia, la famiglia Crisafulli e tanti altri personaggi, tratteggiati con cura nella loro personalità e nei rapporti familiari e sociali.

Tra vizi e virtù, guerra e pace, i ragazzi crescono prendendo strade diverse, affrontando ciascuno a suo modo il periodo storico che attraversa le loro giovinezze a passi infuocati tra dittature ed eventi belligeranti, cercando come Aurelio di riappropiarsi del passato e ritrovare l’appartenenza ad affetti importanti che ti forgiano e ti segnano per tutta la vita, che ti porti addosso come una seconda pelle, che sono forza e debolezza insieme, che ti identificano, che ti confortano, che ti imprigionano, che ti salvano. È da tutto questo che violentemente l’ultimo nato di casa Vitale si era distaccato, per quel terribile senso di colpa che aveva segnato la sua vita e quella della sua famiglia, alla quale ora ritorna per ricordare e colmare il vuoto di un’assenza di cui è stato inconsapevole vittima e carnefice.

Il nostos dell’uomo che apre e chiude il romanzo è il ritorno a una preziosa vita perduta, mai vissuta, immaginata e ricostruita per bisogno, capace di rinnovare attraverso la magia della scrittura un’appartenenza che neanche la morte può appannare, perché i legami d’amore sono più forti, perché amare è ricordare e rendere eterno ciò che passa e si dilegua sul selciato, ma non nel cuore.
La forza di questo aspro e struggente romanzo sta nella complessità e ricchezza dei sentimenti, veicolati dall’attenta e amorevole ricostruzione di un “come eravamo”, offerto in un linguaggio elegante che ci tocca e coinvolge con il suo carico di evidente tenerezza per quel prezioso tessuto di odori, sapori, oggetti, abitudini, sentimenti, sogni, che la brutalità della guerra aveva interrotto, ma non distrutto, perché quest’uomo, simbolo della rinascita, è ancora capace di amare e sognare, di attingere alle radici per andare lontano, mentre la speranza accende il suo volto, il volto di chi coltiva la memoria. Ricordare in quest’opera diventa un atto sacro e un canto alla vita.

https://www.scriptandbooks.it/2025/04/11/raccoglievamo-le-more-di-agata-motta-edizioni-kalos/

“Arrocco siciliano” di Costanza DiQuattro

“Arrocco siciliano” di Costanza DiQuattro

@ Agata Motta, 28 febbraio 2025

Sulla bella immagine di copertina Marte gioca a scacchi con Venere, guerra e amore si fronteggiano, lo sguardo pensoso di lui e quello divertito di lei sembrano non lasciare dubbi sulla vittoria finale da leggere anche in senso metaforico. Ma quello è l’Olimpo. Nel mondo degli uomini il gioco e le sue sfide adrenaliniche possono diventare una cosa terribilmente seria e concretizzarsi nel bisogno di camminare sull’orlo del precipizio per vedere se e come ci si possa salvare. Nella terra di nessuno compresa tra caduta ed esaltazione si collocano la ricerca di conferme alle proprie capacità e le punizioni da infliggersi per tacitare i sensi di colpa.

Su questo margine ipnotico e seducente come il canto delle sirene si muove Antonio Fusco, ombroso protagonista del romanzo Arrocco siciliano di Costanza DiQuattro, edito da Baldini+Castoldi, che imbastisce, attraverso la propria turbata sensibilità, un dialogo muto tra un passato e un presente perennemente in lotta tra loro. In lui si aggiunge la consapevolezza di un preciso destino non eludibile e della vocazione alla perdizione. Ed è inutile sperare di trovare consolanti redenzioni. Si comprende subito, e questo è uno dei maggiori elementi di fascino della narrazione, che per lui giungeranno solo passeggeri squarci di luce nel pozzo noto del dolore.

Con la scrittura agile, icastica e fortemente coinvolgente che caratterizza la sua raffinata produzione letteraria, l’autrice racconta un’altra ammaliante storia che ha Ibla come scenario, città che diviene il territorio conosciuto su cui innestare la parentesi esistenziale di un personaggio in fuga da sé stesso e dai suoi demoni.

Non sarà dunque duraturo l’arrocco siciliano del napoletano Antonio Fusco, giunto a Ibla all’inizio del Novecento per gestire la storica farmacia Albanese orfana del suo stimatissimo proprietario, ma basterà a creare rilevanti scompensi e precari equilibri sulla scacchiera sostanzialmente immobile di una società che alimenta e custodisce segreti e malsane abitudini a patto che tutto rimanga sommerso e non dichiarato. La radicata ritrosia per l’estraneo rende ostico l’approccio con la nuova realtà di questo personaggio inquieto e soffuso di mistero, mentre l’aperta diffidenza del notaio, cugino della vedova, che indaga su un passato poco limpido, potrebbe mettere in discussione i suoi diritti sulla farmacia. Così gli sforzi atti a guadagnarsi credibilità e rispettabilità procedono a fasi alterne, tra nuove concessioni e reiterate chiusure, tra blandi incoraggiamenti e malevole illazioni. Il nuovo farmacista proverà a farsi accettare tentando di individuare la crepa dentro la quale infilarsi, imparerà a fare colazione con i firrincozza e ad archiviarne l’astruso nome, ad assaggiare l’aspra dolcezza dei piretti e la freschezza ristoratrice della granita di don Firili, a memorizzare le basole percorse nei quotidiani tragitti, ad allettare la clientela femminile con nuove creme di bellezza e sfrontati sorrisi, ma sempre mantenendo per sé il tumulto che lo agita e che a ondate gli deposita ai piedi frammenti di passato e ipotesi di tare genetiche.

Un prepotente fascino emana da quei silenzi, da quegli occhi sfuggenti, da quel riserbo sul quale tutti si fionderebbero volentieri per portare alla luce verità da ruminare al Caffè 900, meta di sfaccendati, pettegoli, provocatori, poveracci. Le donne certo ne sono le prime vittime, dalla vedova Albanese, che lo tratta come il figlio tanto desiderato e mai avuto, alla giovane criata Ninetta, ben disposta a consegnargli la propria fresca e primitiva sensualità, ma pian piano l’interesse per il forestiero coinvolgerà tutti, specie i frequentatori del Circolo dei nobili che scacciano la noia distruggendo esistenze con magnifica disinvoltura.

Costanza DiQuattro

Dall’ariosa grandezza di Napoli, ricordata a fiotti intermittenti con orgoglio e nostalgia, al limitato perimetro di Ibla sembra che gli orizzonti si restringano. E invece ecco il miracolo di fortuiti incontri, simili a inciampi su ciottoli levigati, che aprono finestre su angosce pronte a mordere ma anche su sprazzi di futuro inabitato che profumano di buono. Quello con Federico, ragazzo malato e deforme, arroccato a sua volta in una ricca dimora in attesa che il proprio destino si compia, sarà l’incontro più importante, anzi assumerà il carattere di un vero e proprio riconoscimento sulla base di una sofferenza condivisa che si nutrirà di incondizionata, reciproca accettazione.

Su tutto esplodono i colori della Sicilia, la terra Musa che intride le pagine di tutta la narrativa della DiQuattro, il languore di certi scorci, il respiro della bellezza incuneata nei palazzi barocchi e nell’azzurro terso del cielo. L’autrice, visceralmente legata a Ibla, la propria città della quale narra la distruzione e la rinascita nel più recente L’ira di Dio, costruisce atmosfere che si possono quasi respirare, bagnate dalla sonorità dell’amato dialetto, e introduce dialoghi serrati ed efficaci nella curata partitura narrativa che fanno rimbalzare vivi i personaggi, intenti a usare le parole in modo allusivo, a camuffare più che a svelare.

Come l’Aleksej de Il giocatore di Dostoevskij, Fusco si muove tra i tavoli da gioco con una disposizione d’animo in bilico tra ebbrezza e indifferenza, talvolta spinto dal senso di onnipotenza fornito dalla vertigine della vittoria ma più spesso risucchiato al suolo dal personale fallimento e dalla superiore macchinazione del caso.

Il demone del gioco ovviamente non perdona chi ha continuato a corteggiarlo, il passato torna a pretendere il suo tributo, l’impulso di autodistruzione conduce nelle fauci dell’abisso. L’amore, quello etereo e vagheggiato per la bellissima baronessa Eleonora, madre di Federico, non può cambiare la sorte se è solo il frutto acerbo della riconoscenza materna.

Ma cosa può più importare se la fuga ha trovato un senso nell’amicizia, se durante una partita a scacchi, in cui si giocano l’onore e il futuro, la torre, con un altro arrocco, ha potuto proteggere il re?

Proteggere, non salvare, perché si salva solo chi lo vuole veramente.

Costanza DiQuattro
Arrocco siciliano
Baldini+Castoldi

pp.298
€ 18.00

https://www.scriptandbooks.it/2025/02/28/la-perdizione-di-antonio-fusco-arrocco-siciliano-di-costanza-diquattro/

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