“L’ira di Dio” di Costanza DiQuattro

Ancora una volta il caro, vecchio Natale / I garbugli interiori di Padre Bernardo

@ Agata Motta, 8 dicembre 2024

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Capita tante volte di interpretare eventi casuali come segni, di leggervi ciò che si spera di leggere, di trovarvi conferme a risposte già avute o soluzioni ai dubbi irrisolti. Ed eccolo padre Bernardo, intento ad interpretare quei segni nel cielo e nelle sue striature, proteso alla ricerca di un senso evidente in questioni complesse, eccolo con il suo affascinante garbuglio interiore mentre indaga sulla possibilità di una relazione con il Dio che è entrato, non richiesto, nella sua difficile vita.

L’ultimo romanzo di Costanza DiQuattro L’ira di Dio, edito da Baldini+Castoldi, è ambientato in Sicilia e ha come protagonista un tormentato uomo di chiesa che si troverà a vivere uno degli eventi più catastrofici della storia: il terremoto del Val di Noto del 1693. L’autrice, che dichiara di aver voluto celebrare la sua terra, mostra una Sicilia capace di risorgere dalle sue ceneri come l’araba fenice e costruisce una storia dall’architettura perfetta, solenne come una sonata di Bach, in cui la complessità si scioglie in note struggenti, il sacro può usare parole profane, la potenza del divino sa farsi sangue e porgere lenimenti.

Padre Bernardo celebra Messa senza partecipazione, la sua mente è altrove, nello spazio angusto della canonica in cui si aggira dolce e sorridente la sua bella e amata perpetua, il peccato della carne che lo ha reso inviso alle autorità e alla gente della sua parrocchia. A seguirlo ormai restano quattro fedeli, e non è da intendersi come metafora, tre donne e un uomo dalla vita aspra e dissestata capaci di indulgenza e di perdono, cui si aggiungono Gasparino, un bimbo dai denti storti che fa il chierichetto con cieca dedizione, e padre Costante, il comprensivo frate cappuccino che, come l’ago di una bussola, lo riporta alla responsabilità dei suoi atti e della sua condizione. Questa la piccola corte di un nobile costretto ad indossare un abito che sarebbe invece calzato a pennello al saggio e illuminato Eligio, fratello gemello, prostrato nel fisico ma vincolato, in quanto primogenito, al ruolo di erede di titoli altisonanti e cospicue sostanze. Entrambi osservano la vita dell’altro con la consapevolezza di occuparne lo spazio e la dimensione esistenziale, entrambi si piegano con rassegnazione ad un ordine costituito che non si può violare, ordine sul quale vigila con rigore e intransigenza la baronessa madre, donna che si reputa vicina alla santità e che invece assume atteggiamenti di diabolico ardore mistico sostenuta dal domenicano padre Fernando, inflessibile educatore dei suoi figli. Il sospetto di essere sbagliato nel mondo, il dramma di una colpa involontaria, quella di aver causato l’incidente del fratello, le tentazioni, il vino e il sesso anzitutto, alle quali cedere senza indugi, sono elementi che si traducono in un fardello pesante da reggere per spalle sempre più incurvate e gambe sempre più instabili, ma Bernardo continua a camminare inciampando negli anatemi materni e rischiando i furori della Santa Inquisizione.

Costanza DiQuattro

Il terremoto dell’11 gennaio 1693 che distrusse il Val di Noto spazzando via palazzi stemmati e casupole, nobili e popolani è l’evento che segna la svolta narrativa e che introduce il tema caro all’epoca dell’ira di Dio intesa come punizione per le colpe degli uomini. Le macerie prodotte però sono anche interiori, rovine, calcinacci, ricordi e rimorsi si accumulano nell’animo del protagonista, sconfitto proprio nei suoi punti di forza e di orgoglio: l’amore e la recente paternità. Bernardo è un personaggio scolpito a tutto tondo, l’autrice lo dirozza a poco a poco con un magistrale lavoro di scalpello per svelarne dubbi, errori, passioni, debolezze, tenacia, irriverenza, tutto ciò che lo rende profondamente umano e dunque vicino al lettore.

Costanza DiQuattro consegna un romanzo di rara bellezza, nutrito dalla tecnica acquisita come drammaturga e scritto con un linguaggio talvolta assorto e meditativo altre sanguigno e incalzante in cui il registro alto dei notabili convive con il dialetto puro del popolo, restituito senza forzate traduzioni o innaturali imbastardimenti. Il testo si porge anche come spaccato storico ben documentato in cui l’immaginazione si innesta sulle fonti in modo spontaneo, come racconto che vibra d’amore per la propria terra martoriata e redenta dalla bellezza. Lo struggente Barocco che sorgerà in quei luoghi violati dalla furia distruttrice della natura diviene testimonianza e monito del modo in cui il passaggio dell’ala della morte possa produrre nuova vita.

Resistere si può e si deve trasformando il proprio dolore in una nuova disposizione d’animo, aiutare gli altri per aiutare se stessi. Così, anche con il lutto nell’anima stanca, Bernardo non smetterà di cercherà il suo Dio vendicatore, foss’anche per insegnargli come l’umanità sia capace di urlare il proprio bisogno di rinascita dopo la distruzione. Ed ecco infine Gasparino, che ha fatto della menomazione prodotta dal terremoto l’occasione per dedicarsi allo studio, eccolo consegnare a Bernardo il progetto della facciata del vecchio palazzo di famiglia. L’agile fantasia del piccolo chierichetto ormai adulto traccia linee armoniose e composte, un sorriso sghembo dai denti storti sa farsi seminatore di bellezza e di rinnovata capacità d’amare.

Costanza DiQuattro
L’ira di Dio
Baldini+Castoldi
19,00 €
pp.262

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“Agata del vento” di Francesca Maccani

“Agata del vento” di Francesca Maccani

@ Agata Motta, 13 ottobre 2024

Un’isola incantevole e una bellissima ragazza sono le protagoniste di Agata del vento, l’ultimo romanzo di Francesca Maccani, edito da Rizzoli e ambientato all’inizio del secolo scorso. Lipari ventosa e aspra si materializza subito agli occhi del lettore con il suo mare che conforta e infuria, con la povera gente che fatica per portare a casa il necessario, con il suo piccolo mondo arcaico in cui tradizioni e credenze si intrecciano senza stupori o ricerche di spiegazioni razionali.

Nata sulla spiaggia e marchiata sulla pelle da un segno che si rivelerà un destino ineludibile, la giovanissima Agata cresce laboriosa e onesta tra pesca notturna e lavoro diurno nei campi, indipendente e fiera come le altre donne dell’isola, assai diverse da altri contesti dell’epoca segnati da passive accettazioni. E sorprende come in luoghi così isolati la funzione sociale delle donne sia stata tanto forte e definita, non confinata esclusivamente alla cura della casa e dei figli, come se il lavoro sulle barche in mare e sui campi da coltivare venisse svolto non solo come contributo alle necessità familiari ma anche come opportunità di autodeterminazione.

La famiglia, come tante all’epoca, è stata sconvolta dal massiccio fenomeno dell’emigrazione che ha portato via l’amato padre alla ricerca di fortuna in America, e la madre, inacidita dall’abbandono e da una colpa antica che la consuma, nulla concede ad Agata se non un’attenzione vessatoria e sgarbata. Gli unici punti saldi di riferimento sono il fratello Rosario, perché il maggiore, Salvatore, è troppo occupato nel suo ruolo di capo famiglia e di custode della virtù della sorella in sboccio, e la Za’ Teresa, la levatrice e majara che l’ha accolta quando è venuta al mondo.

Nella notte del suo quindicesimo compleanno qualcosa di inaudito e misterioso sconvolge l’esistenza della ragazza e inquina le sue certezze: Agata riceve il dono del vento, rarissima capacità di curare malattie e dominare gli elementi concessa solo a coloro che sono stati “pigghiati da Eolo”; dono che può essere tramandato alle generazioni successive. L’amorevole nonna di Agata, Minica, morta quando lei era ancora bambina, era solo una delle tante donne guaritrici che agivano sui malanni lievi attraverso ‘raziuni, formule da mandare a memoria e da recitare accanto all’infermo di turno, ma non aveva il dono del vento, quindi la ragazza non ha potuto ereditarlo da lei. Agata sarà sconvolta dall’evento e tenterà di mettere a servizio degli altri quel dono che sull’isola possiede anche lo spigoloso Zu’ Bastiano, restìo ad accogliere la richiesta di chiarimenti della confusa ragazza.

Cosa si fa se ci si accorge di avere un potere immenso che può modificare le vite altrui? Sembrerebbe un privilegio invece può rivelarsi una condizione scomoda e non richiesta, un cruccio insistente, un’insidia da tenere a bada, una virtù che sconfina nella stregoneria e che pertanto può insospettire i potenti e gli uomini di scienza.

Le giornate di Agata cominceranno dunque a svolgersi sul doppio binario del segreto e della disponibilità all’aiuto, ma l’amore giunge a sparigliare le carte, a mettere a tacere il sofferto dono per spalancare le porte alla passione e poi al disinganno.

Un indiscutibile elemento di fascino nella narrativa della Maccani è costituito dalla scelta di argomenti e tematiche inusuali che affondano le radici in una realtà indagata e ricostruita con l’ausilio di fonti pazientemente consultate. Preziosi in tal senso i testi dell’antropologa Macrina Marilena Maffei (autrice di riferimento anche per Evelina Santangelo che ne fa esplicito riferimento nel suo Il sentimento del mare), una vera e propria bussola per chi voglia orientarsi in quei luoghi; testi che l’immaginazione dell’autrice feconda attraverso la costruzione di personaggi di esatta consistenza e meccaniche seduttive nella manipolazione dell’intreccio.

Di forte interesse storico e ben inserita nel contesto la descrizione delle condizioni di vita dei “coatti”, malfattori o semplicemente personaggi scomodi, relegati in condizioni disumane sull’isola, ma lo sguardo dell’autrice ne segue in particolare soltanto uno, importante per certi snodi della vicenda familiare. Anche la cronaca trova spazio tra le pagine con un femminicidio, realmente avvenuto nel 1904 e testimoniato dalle fonti dell’epoca, che, più delle disillusioni amorose e delle rivelazioni sulle proprie origini, spingerà Agata a scelte definitive e potenzialmente risarcitorie.

L’autrice si ispira ad una storia vera piegandola alle proprie necessità narrative, non giudica e non commenta, lascia che i suoi attanti si svelino da soli soprattutto attraverso i gesti e le azioni, mentre i dialoghi, asciutti ed essenziali, aderiscono a personaggi del popolo che non potrebbero indugiare, per assenza di strumenti culturali, su discorsi articolati e complessi.

In Agata del vento ritroviamo alcune costanti ideologiche e stilistiche dell’autrice già presenti nel precedente Le donne dell’Acquasanta, come l’attenzione per la condizione femminile e la cura particolare riservata alle sequenze descrittive atte a creare atmosfere credibili e palpabili con efficaci metafore di grande delicatezza, mentre viene ridotto al minimo indispensabile per la restituzione del colore locale l’uso del dialetto, “semplificato e misto all’italiano”, come precisa la stessa Maccani nelle note finali, per renderlo comprensibile anche ai non siciliani.

Sincera e pertanto ben focalizzata l’attenzione riservata a quegli aspetti magici e ancestrali per i quali la gente era portata a provare un misto di invidia e di ammirazione e a nutrire il rispetto dovuto all’irrazionale che irrompe nel quotidiano, a ciò che la mente non può comprendere ma intuire. Solo chi appartiene alle vecchie generazioni cresciute nei piccoli paesi ricorda rituali e formule che alcuni anziani praticavano con spontanea innocenza e che davano conforto al cuore più che al corpo, superstizioni che oggi farebbero storcere il naso ma che rappresentano invece un patrimonio collettivo destinato a disperdersi. Ben vengano quindi i testi che ne riaccendono la memoria e il complesso valore sociale e antropologico.

Agata del vento

di Francesca Maccani

Rizzoli editore

17.00 €

pp.302

https://www.scriptandbooks.it/2024/10/12/agata-del-vento-di-francesca-maccani/

anche su Articolo21

https://www.articolo21.org/2024/10/agata-del-vento-di-francesca-maccani/

“Il sentimento del mare” di Evelina Santangelo

Il sentimento del mare di Evelina Santangelo

@Agata Motta, 26 agosto 2024

Essere sopravvissuti, o almeno percepirsi come tali, determina mutazioni incontrollabili, spesso repentine e radicali. Si comprende come ciò che si è vissuto sia destinato a incancrenirsi senza possibilità di guarigione, ma si può anche scoprire il fascino dell’incerto futuro, scrutato con apprensione come se fosse pronto a volatilizzarsi con un semplice gesto della mano. Si può accettare lo scorcio di una diversa angolazione attraverso cui guardare al passato e lasciarsi sorprendere dalla constatazione di quanto il patrimonio condiviso con gli altri sia stato prezioso e determinante per la propria crescita e di come i solchi profondi e non più colmabili possano essere aggirati con semplici deviazioni.
Evelina Santangelo nel suo ultimo libro – definirlo romanzo forse sarebbe fuorviante – Il sentimento del mare, edito da Einaudi, segue il filo conduttore della propria sopravvivenza, legata a devastanti condizioni fisiche ed emotive, e si lascia sedurre dalle tante storie raccolte da amici o da occasionali interlocutori che hanno per oggetto il mare con i suoi richiami irresistibili, con i suoi pericoli sempre in agguato, con la sua spossante dolcezza, con i suoi abissi assassini e la sua mitologia e vi intreccia i propri ricordi e una sete di sapere finalmente riaccesa dopo una lunga e penosa apatia. L’autrice vuole spingersi verso l’ignoto e contemporaneamente riacciuffare i nodi irrisolti del passato, come il mistero sulla fine di un giovane cugino sommozzatore del quale ad ogni costo vuole scoprire “il modo in cui si è visto morire”.
Come una curiosa giornalista porge domande, sonda terreni inesplorati, porta a galla pezzi di storie che meritano di essere conosciute. Ne scaturiscono pagine che contengono una gran mole di informazioni sulle mattanze dei tonni, sulle donne pescatrici e contadine dell’isola di Lipari (argomento che torna nelle più recenti pubblicazioni – Francesca Maccani le racconta in Agata del vento – come a fare ammenda di un lungo oblìo), sul cimitero degli sconosciuti di Zarzis, sui diciotto pescatori mazaresi sequestrati dalla Guardia costiera libica, su bizzarri personaggi che hanno affrontato con granitica determinazioni imprese per altri incomprensibili, come il giro del mondo in barca a vela senza scali o la ricostruzione dello scheletro di un giovane capodoglio straziato dall’uomo e dalla natura.
Dati, osservazioni, curiosità e commenti accompagnati da un piccolo concerto di riferimenti letterari e cinematografici – La Perla di Steinbeck, Moby Dick di Melville, Manoscritto ritrovato in una bottiglia di Poe, Le onde del destino di Lars von Trier, The perfect Storm di Wolfgang Petersen, J’accuse di Abel Grance, Gran Bleu di Luc Besson, La lunga rotta di Bernard Moitessier – una colonna sonora prodotta da associazioni mentali estremamente soggettive, perché le opere d’arte parlano ad ognuno con voce diversa e risuonano in momenti e luoghi imprevedibili.
E proprio quando sembra che la narrazione stia per inaridirsi nella sovrabbondanza di dettagli tecnici e di divagazioni, giunge il calore dell’umanità di incontri con amici o con sconosciuti, scatta la molla dell’empatia e con essa il desiderio di affidare il proprio dolore a chi è disposto ad accoglierlo, sorge la commozione provata sulla costa normanna del D-day e, pian piano, si fa strada una ricognizione interiore che viene consegnata al lettore a piccoli sorsi e in chiaroscuro, perché al bisogno di urlare il proprio strazio si accompagna una sorta di pudore protettivo sui sentimenti più forti, specie quelli riguardanti il ragazzo dagli occhi azzurri che è stato l’amore di una vita e che forse continuerà ad esserlo anche nel gelo della fine.

Credits Rino Bianchi

E poi esplode l’infanzia solare, l’unico periodo della vita sgargiante di avventure, di ferite e di cadute, di sale e di sudore, trascorso con l’adorato zio pescatore, che tutto le ha insegnato come un mentore affettuoso, o con la nonna paterna, vissuta in un paese di mare senza mai riconoscere all’immensa distesa azzurra un valore diverso da quello paesaggistico. E da quell’infanzia di “immortalità e gioia pura” l’autrice lascia riaffiorare il senso di sfrenata libertà provato in campagna e al mare, realtà diversissime eppure affini nelle sensazioni suscitate. A dimostrarne il legame, un oggetto simbolo – un semplice coltello – indispensabile su entrambi gli scenari, punto di raccordo tra le due anime e le due infanzie, quella di terra e quella di mare.
In un localino seminascosto di Marina Corta, a Lipari, davanti ad un bicchiere di vino rosso, arrivano finalmente le parole, il groviglio esistenziale comincia a srotolarsi e a prendere forma. E dunque eccolo straripare il sentimento del mare, vero protagonista della narrazione, perché attraverso il mare e la sua bellezza l’autrice riscopre se stessa, dialoga con la sopravvissuta che nel mare continua a riconoscersi. Ecco tutta l’intensità delle emozioni da esso prodotte restituite in una gamma multiforme di passioni e di contraddizioni, sciolte infine nell’abbraccio di un bagno invernale che dona brividi e benessere, che accoglie come un grembo capiente, che consegna all’anima inquieta il segreto dell’abbandono.
“Adesso desideravo liquefarmi nell’acqua, essere quella purezza lì senza peccato… L’importante è non fermarsi, muoversi, nuotare”.

Evelina Santangelo
Il sentimento del mare
Einaudi editore
pp.152
17,50 €

https://www.scriptandbooks.it/2024/08/24/il-sentimento-del-mare-di-evelina-santangelo/

“Le parole d’ordine” di Andrea Dei Castaldi

“Le parole d’ordine” di Andrea Dei Castaldi per Barta Edizioni

@ Agata Motta, 27 luglio 2024

Codici per accedere al presente e a ciò che siamo stati, per individuare nel proprio personalissimo archivio emotivo quei momenti, esplosi come bengala in cieli oscuri, atti a condizionare lo svolgimento della vita: sono queste Le parole d’ordine di Andrea Dei Castaldi, intrigante e riservato autore che pubblica il suo quarto romanzo sempre per Barta edizioni.

Come il precedente Anime brevi, che nasceva durante una lunga parentesi sudamericana, anche quest’ultimo romanzo si colloca dentro un’esperienza personale destinata a lasciare impronte profonde: la malattia e la morte del padre vissute dapprima come guerra e sofferenza e infine come atto di fede nei confronti della vita e dei suoi immancabili orizzonti di luce. Non siamo di fronte a romanzi autobiografici ma a lavori che sgorgano da circostanze forti che scuotono e costringono allo spossante abbandono ad una scrittura risarcitoria.

Oreste, Stefano, Domenico e John si ritrovano dopo trentasette anni. Sono stati convocati e riuniti dalla giovane Olga, nipote del primo. L’occasione è quella della consegna di una medaglia al valore per l’eroico coraggio dimostrato durante la campagna d’Africa allo zio Oreste, ormai molto fiaccato dalle malattie. Medaglia che giunge, per affanni burocratici, dopo tanto di quel tempo e di quegli accadimenti, compresa la militanza di Oreste nelle truppe partigiane, da non avere più senso per chi dovrebbe riceverla. E infatti il destinatario vi rinuncerà ma il ritrovarsi dei quattro uomini sarà, in modi diversi per ciascuno di loro, un’opportunità che potrebbe trasformarsi in atto catartico. Ad accomunarli, infatti, è la tragica esperienza bellica e il casuale intreccio delle loro esistenze in condizioni estreme. A ben guardare, anche questi personaggi sono “anime brevi” nella maniera intesa da Dei Castaldi, cioè esseri umani sopravvissuti dopo la perdita della parte più preziosa di sé, che sia essa un mancato amore giovanile, un pezzo del proprio corpo martoriato, la fede che vacilla di fronte all’insensatezza della guerra o il senso dell’onore militare e del dovere nei confronti della patria poco importa. Vivere comporta anche questo, lasciare lungo il tragitto parti di sé e proseguire il cammino, ma senza fuggire da se stessi, senza mai rinnegare un passato che tanto riemergerebbe comunque, violento e doloroso, anche a distanza di molto tempo.

Tra tutti Oreste è il personaggio più enigmatico, chiuso nel proprio buio dal momento in cui, ancora bambino, per salvare il fratello minore dall’annegamento, si ritrova a tu per tu con la morte. Continuerà a camminarle accanto senza temerla, pur incontrandola e respirandone il fiato più e più volte nel corso della vita. Non si farà donare il cavallo più veloce che c’è come il soldato di Roberto Vecchioni, Oreste sa di non poter sfuggire alla propria Samarcanda, sa che quando la nera signora vorrà prenderlo con sé non potrà fare altro che abbandonarsi ad essa. Come nelle tragedie greche il Fato non è eludibile. Di Oreste sapremo sempre poco e quel buio, vivificato da un’incrollabile attaccamento alla vita, resterà fitto e conturbante, ma lui è il perno intorno al quale l’autore ricostruisce i ricordi di tutti gli altri – un medico inglese, un giovane cappellano, un capitano – che in simmetrica alternanza, con una precisa scelta nell’impianto narrativo, consegnano al lettore le loro vicende legate ad un contesto bellico, e qui sentiamo gli echi di altre canzoni, come La guerra di Piero di De Andrè, o di altra letteratura, come Remarque e Ungaretti, per il quale si fatica a trovare una qualsiasi logica o uno straccio di giustificazione.

Il presente, non più vicinissimo, della storia è il 1978, anno preso in prestito per immettervi le vicende altrettanto enigmatiche e insolute del brevissimo pontificato di Albino Luciani.

L’autore inserisce in tal modo un nucleo narrativo di grande impatto speculativo apparentemente divergente rispetto al filo conduttore, ma in piena sintonia con la crisi spirituale dell’ex cappellano Stefano Casadei e, più in generale, di una parte del mondo cattolico che in quel momento storico non si identificava più con i vertici ecclesiastici. Stefano incontra Fausto, un compagno di seminario poi perso di vista divenuto insegnante di storia e filosofia, dedito alla stesura di un saggio, intitolato Le origini del male, in cui identifica l’Anticristo nella Chiesa di Roma, colpevole di avere agito nel corso della storia contro l’affermazione dell’autentico messaggio cristiano di cui Gesù era stato portatore. Fausto confessa all’amico di essere rimasto in contatto con Albino Luciani, definito “il loro comune amico” e di aver ricevuto persino una telefonata dopo l’elezione al pontificato in cui si dichiarava “agnello in mezzo ai lupi”. In Fausto, insomma, si era accesa la speranza di un cambiamento epocale in seno alla Chiesa, qualcosa di rivoluzionario che avrebbe potuto riportare il baraccone al messaggio originale di Cristo, teoria riconducibile a certe eresie medievali sradicate violentemente dal potere ufficiale. Ma la Storia, come sappiamo, ha seguito un percorso diverso e l’alone di dubbio che ha avvolto l’improvvisa e inaspettata morte del pontefice non si è mai dissipato del tutto. I capitoli del romanzo dedicati a Luciani accendono nuovamente i riflettori su una figura marginale perché incompiuta in questi delicati anni in cui il pontificato di Francesco suscita sconcerto in certe frange tradizionaliste della Chiesa.

Ritrovare il proprio ordine interiore non sarà facile per i quattro personaggi, ma ognuno muoverà i propri incerti passi incontro al nuovo, fortificato dal recupero di eventi rimossi o accantonati. Per alcuni i passi si muoveranno a ritroso per riannodare fili separati dalla sorte, per altri sarà la fine di un sogno di rinnovamento spirituale o il ritorno al gorgo oscuro delle origini.

Al di là della trama e dei suoi tanti accattivanti snodi, è un piacere ritrovare il linguaggio ricercato di Dei Castaldi, le parole centellinate e scelte con cura, avvertire la meditazione su una scrittura che non scivola via veloce e distratta ma che si spende generosamente alla ricerca del periodo giusto ed esatto.

Una lettura intensa che può giovare a quanti annaspano tra un passato irrisolto ma non modificabile e un futuro denso di incognite allettanti, una presa d’atto della lotta incessante tra il Bene e il Male in una partita da sempre in corso e mai conclusa.

Agata Motta

Andrea Dei Castaldi

Le parole d’ordine

Barta edizioni

pp.177

https://www.scriptandbooks.it/2024/08/24/le-parole-dordine-di-andrea-dei-castaldi-per-barta-edizioni/

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