“Arrocco siciliano” di Costanza DiQuattro

“Arrocco siciliano” di Costanza DiQuattro

@ Agata Motta, 28 febbraio 2025

Sulla bella immagine di copertina Marte gioca a scacchi con Venere, guerra e amore si fronteggiano, lo sguardo pensoso di lui e quello divertito di lei sembrano non lasciare dubbi sulla vittoria finale da leggere anche in senso metaforico. Ma quello è l’Olimpo. Nel mondo degli uomini il gioco e le sue sfide adrenaliniche possono diventare una cosa terribilmente seria e concretizzarsi nel bisogno di camminare sull’orlo del precipizio per vedere se e come ci si possa salvare. Nella terra di nessuno compresa tra caduta ed esaltazione si collocano la ricerca di conferme alle proprie capacità e le punizioni da infliggersi per tacitare i sensi di colpa.

Su questo margine ipnotico e seducente come il canto delle sirene si muove Antonio Fusco, ombroso protagonista del romanzo Arrocco siciliano di Costanza DiQuattro, edito da Baldini+Castoldi, che imbastisce, attraverso la propria turbata sensibilità, un dialogo muto tra un passato e un presente perennemente in lotta tra loro. In lui si aggiunge la consapevolezza di un preciso destino non eludibile e della vocazione alla perdizione. Ed è inutile sperare di trovare consolanti redenzioni. Si comprende subito, e questo è uno dei maggiori elementi di fascino della narrazione, che per lui giungeranno solo passeggeri squarci di luce nel pozzo noto del dolore.

Con la scrittura agile, icastica e fortemente coinvolgente che caratterizza la sua raffinata produzione letteraria, l’autrice racconta un’altra ammaliante storia che ha Ibla come scenario, città che diviene il territorio conosciuto su cui innestare la parentesi esistenziale di un personaggio in fuga da sé stesso e dai suoi demoni.

Non sarà dunque duraturo l’arrocco siciliano del napoletano Antonio Fusco, giunto a Ibla all’inizio del Novecento per gestire la storica farmacia Albanese orfana del suo stimatissimo proprietario, ma basterà a creare rilevanti scompensi e precari equilibri sulla scacchiera sostanzialmente immobile di una società che alimenta e custodisce segreti e malsane abitudini a patto che tutto rimanga sommerso e non dichiarato. La radicata ritrosia per l’estraneo rende ostico l’approccio con la nuova realtà di questo personaggio inquieto e soffuso di mistero, mentre l’aperta diffidenza del notaio, cugino della vedova, che indaga su un passato poco limpido, potrebbe mettere in discussione i suoi diritti sulla farmacia. Così gli sforzi atti a guadagnarsi credibilità e rispettabilità procedono a fasi alterne, tra nuove concessioni e reiterate chiusure, tra blandi incoraggiamenti e malevole illazioni. Il nuovo farmacista proverà a farsi accettare tentando di individuare la crepa dentro la quale infilarsi, imparerà a fare colazione con i firrincozza e ad archiviarne l’astruso nome, ad assaggiare l’aspra dolcezza dei piretti e la freschezza ristoratrice della granita di don Firili, a memorizzare le basole percorse nei quotidiani tragitti, ad allettare la clientela femminile con nuove creme di bellezza e sfrontati sorrisi, ma sempre mantenendo per sé il tumulto che lo agita e che a ondate gli deposita ai piedi frammenti di passato e ipotesi di tare genetiche.

Un prepotente fascino emana da quei silenzi, da quegli occhi sfuggenti, da quel riserbo sul quale tutti si fionderebbero volentieri per portare alla luce verità da ruminare al Caffè 900, meta di sfaccendati, pettegoli, provocatori, poveracci. Le donne certo ne sono le prime vittime, dalla vedova Albanese, che lo tratta come il figlio tanto desiderato e mai avuto, alla giovane criata Ninetta, ben disposta a consegnargli la propria fresca e primitiva sensualità, ma pian piano l’interesse per il forestiero coinvolgerà tutti, specie i frequentatori del Circolo dei nobili che scacciano la noia distruggendo esistenze con magnifica disinvoltura.

Costanza DiQuattro

Dall’ariosa grandezza di Napoli, ricordata a fiotti intermittenti con orgoglio e nostalgia, al limitato perimetro di Ibla sembra che gli orizzonti si restringano. E invece ecco il miracolo di fortuiti incontri, simili a inciampi su ciottoli levigati, che aprono finestre su angosce pronte a mordere ma anche su sprazzi di futuro inabitato che profumano di buono. Quello con Federico, ragazzo malato e deforme, arroccato a sua volta in una ricca dimora in attesa che il proprio destino si compia, sarà l’incontro più importante, anzi assumerà il carattere di un vero e proprio riconoscimento sulla base di una sofferenza condivisa che si nutrirà di incondizionata, reciproca accettazione.

Su tutto esplodono i colori della Sicilia, la terra Musa che intride le pagine di tutta la narrativa della DiQuattro, il languore di certi scorci, il respiro della bellezza incuneata nei palazzi barocchi e nell’azzurro terso del cielo. L’autrice, visceralmente legata a Ibla, la propria città della quale narra la distruzione e la rinascita nel più recente L’ira di Dio, costruisce atmosfere che si possono quasi respirare, bagnate dalla sonorità dell’amato dialetto, e introduce dialoghi serrati ed efficaci nella curata partitura narrativa che fanno rimbalzare vivi i personaggi, intenti a usare le parole in modo allusivo, a camuffare più che a svelare.

Come l’Aleksej de Il giocatore di Dostoevskij, Fusco si muove tra i tavoli da gioco con una disposizione d’animo in bilico tra ebbrezza e indifferenza, talvolta spinto dal senso di onnipotenza fornito dalla vertigine della vittoria ma più spesso risucchiato al suolo dal personale fallimento e dalla superiore macchinazione del caso.

Il demone del gioco ovviamente non perdona chi ha continuato a corteggiarlo, il passato torna a pretendere il suo tributo, l’impulso di autodistruzione conduce nelle fauci dell’abisso. L’amore, quello etereo e vagheggiato per la bellissima baronessa Eleonora, madre di Federico, non può cambiare la sorte se è solo il frutto acerbo della riconoscenza materna.

Ma cosa può più importare se la fuga ha trovato un senso nell’amicizia, se durante una partita a scacchi, in cui si giocano l’onore e il futuro, la torre, con un altro arrocco, ha potuto proteggere il re?

Proteggere, non salvare, perché si salva solo chi lo vuole veramente.

Costanza DiQuattro
Arrocco siciliano
Baldini+Castoldi

pp.298
€ 18.00

https://www.scriptandbooks.it/2025/02/28/la-perdizione-di-antonio-fusco-arrocco-siciliano-di-costanza-diquattro/

“L’ira di Dio” di Costanza DiQuattro

Ancora una volta il caro, vecchio Natale / I garbugli interiori di Padre Bernardo

@ Agata Motta, 8 dicembre 2024

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Capita tante volte di interpretare eventi casuali come segni, di leggervi ciò che si spera di leggere, di trovarvi conferme a risposte già avute o soluzioni ai dubbi irrisolti. Ed eccolo padre Bernardo, intento ad interpretare quei segni nel cielo e nelle sue striature, proteso alla ricerca di un senso evidente in questioni complesse, eccolo con il suo affascinante garbuglio interiore mentre indaga sulla possibilità di una relazione con il Dio che è entrato, non richiesto, nella sua difficile vita.

L’ultimo romanzo di Costanza DiQuattro L’ira di Dio, edito da Baldini+Castoldi, è ambientato in Sicilia e ha come protagonista un tormentato uomo di chiesa che si troverà a vivere uno degli eventi più catastrofici della storia: il terremoto del Val di Noto del 1693. L’autrice, che dichiara di aver voluto celebrare la sua terra, mostra una Sicilia capace di risorgere dalle sue ceneri come l’araba fenice e costruisce una storia dall’architettura perfetta, solenne come una sonata di Bach, in cui la complessità si scioglie in note struggenti, il sacro può usare parole profane, la potenza del divino sa farsi sangue e porgere lenimenti.

Padre Bernardo celebra Messa senza partecipazione, la sua mente è altrove, nello spazio angusto della canonica in cui si aggira dolce e sorridente la sua bella e amata perpetua, il peccato della carne che lo ha reso inviso alle autorità e alla gente della sua parrocchia. A seguirlo ormai restano quattro fedeli, e non è da intendersi come metafora, tre donne e un uomo dalla vita aspra e dissestata capaci di indulgenza e di perdono, cui si aggiungono Gasparino, un bimbo dai denti storti che fa il chierichetto con cieca dedizione, e padre Costante, il comprensivo frate cappuccino che, come l’ago di una bussola, lo riporta alla responsabilità dei suoi atti e della sua condizione. Questa la piccola corte di un nobile costretto ad indossare un abito che sarebbe invece calzato a pennello al saggio e illuminato Eligio, fratello gemello, prostrato nel fisico ma vincolato, in quanto primogenito, al ruolo di erede di titoli altisonanti e cospicue sostanze. Entrambi osservano la vita dell’altro con la consapevolezza di occuparne lo spazio e la dimensione esistenziale, entrambi si piegano con rassegnazione ad un ordine costituito che non si può violare, ordine sul quale vigila con rigore e intransigenza la baronessa madre, donna che si reputa vicina alla santità e che invece assume atteggiamenti di diabolico ardore mistico sostenuta dal domenicano padre Fernando, inflessibile educatore dei suoi figli. Il sospetto di essere sbagliato nel mondo, il dramma di una colpa involontaria, quella di aver causato l’incidente del fratello, le tentazioni, il vino e il sesso anzitutto, alle quali cedere senza indugi, sono elementi che si traducono in un fardello pesante da reggere per spalle sempre più incurvate e gambe sempre più instabili, ma Bernardo continua a camminare inciampando negli anatemi materni e rischiando i furori della Santa Inquisizione.

Costanza DiQuattro

Il terremoto dell’11 gennaio 1693 che distrusse il Val di Noto spazzando via palazzi stemmati e casupole, nobili e popolani è l’evento che segna la svolta narrativa e che introduce il tema caro all’epoca dell’ira di Dio intesa come punizione per le colpe degli uomini. Le macerie prodotte però sono anche interiori, rovine, calcinacci, ricordi e rimorsi si accumulano nell’animo del protagonista, sconfitto proprio nei suoi punti di forza e di orgoglio: l’amore e la recente paternità. Bernardo è un personaggio scolpito a tutto tondo, l’autrice lo dirozza a poco a poco con un magistrale lavoro di scalpello per svelarne dubbi, errori, passioni, debolezze, tenacia, irriverenza, tutto ciò che lo rende profondamente umano e dunque vicino al lettore.

Costanza DiQuattro consegna un romanzo di rara bellezza, nutrito dalla tecnica acquisita come drammaturga e scritto con un linguaggio talvolta assorto e meditativo altre sanguigno e incalzante in cui il registro alto dei notabili convive con il dialetto puro del popolo, restituito senza forzate traduzioni o innaturali imbastardimenti. Il testo si porge anche come spaccato storico ben documentato in cui l’immaginazione si innesta sulle fonti in modo spontaneo, come racconto che vibra d’amore per la propria terra martoriata e redenta dalla bellezza. Lo struggente Barocco che sorgerà in quei luoghi violati dalla furia distruttrice della natura diviene testimonianza e monito del modo in cui il passaggio dell’ala della morte possa produrre nuova vita.

Resistere si può e si deve trasformando il proprio dolore in una nuova disposizione d’animo, aiutare gli altri per aiutare se stessi. Così, anche con il lutto nell’anima stanca, Bernardo non smetterà di cercherà il suo Dio vendicatore, foss’anche per insegnargli come l’umanità sia capace di urlare il proprio bisogno di rinascita dopo la distruzione. Ed ecco infine Gasparino, che ha fatto della menomazione prodotta dal terremoto l’occasione per dedicarsi allo studio, eccolo consegnare a Bernardo il progetto della facciata del vecchio palazzo di famiglia. L’agile fantasia del piccolo chierichetto ormai adulto traccia linee armoniose e composte, un sorriso sghembo dai denti storti sa farsi seminatore di bellezza e di rinnovata capacità d’amare.

Costanza DiQuattro
L’ira di Dio
Baldini+Castoldi
19,00 €
pp.262

https://www.scriptandbooks.it/2024/12/08/ancora-una-volta-il-caro-vecchio-natale-i-garbugli-interiori-di-padre-bernardo/